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L’Orientatore, una nuova figura nel rapporto tra HR manager e talenti

di Veronica Rossetti
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Una visione completa dell’importanza dell’orientamento lungo l’intero percorso formativo, secondo la dottoressa Annie Pontrandolfo

In un mercato del lavoro sempre più precario e incerto, l’orientatore è ormai indispensabile per fare da mediatore tra candidati e recruiter: aiuta da un lato i lavoratori a essere più consapevoli delle loro abilità, dall’altro facilita il lavoro degli HR manager preparando al meglio le risorse a entrare in azienda. I giovani talenti e neolaureati, soprattutto, hanno bisogno dell’orientamento nell’attuale contesto VUCA (volatile, incerto, complesso, ambiguo), con molte informazioni sul mondo del lavoro non sempre coerenti, e percorsi non più chiari e netti come un tempo, dalle superiori all’università e poi al mondo del lavoro. Questa mancanza di riferimenti provoca un senso di sopraffazione o ansia che può essere arginato e superato grazie al supporto di figure professionali qualificate, tra cui spicca sempre più quella dell’orientatore.

Abbiamo intervistato la dottoressa Annie Pontrandolfo, presidentessa e fondatrice dell’Associazione Nazionale Orientatori (ASNOR), che ha messo a disposizione la sua competenza aiutandoci a comprendere come l’orientatore sia una figura caratterizzata da un know how di assoluta eccellenza.

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Com’è nato ASNOR e perché?

ASNOR nasce per rispondere a un evidente gap educativo e formativo tuttora presente (e che auspichiamo si riduca sempre di più) tra il mondo della scuola, mondo dell’Università e mondo del lavoro. Per colmarlo, tali istituzioni necessitano di figure chiave come l’orientatore in grado di fornire un servizio di qualità e al passo con le esigenze delle imprese e delle persone.

Che cosa fa, di preciso, l’orientatore professionale?

Prima di entrare nel merito, è necessario specificare che la figura dell’orientatore non è ancora stata regolamentata. Motivo per cui l’ASNOR, in base alla legge 4/2013, si impegna per la tutela e il riconoscimento della professione. Il professionista ha la possibilità di attestare la qualità del lavoro che svolge, attraverso l’inserimento in un apposito registro messo a disposizione da ASNOR, essendo l’associazione riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico. La nostra organizzazione aiuta inoltre l’orientatore a cogliere tutte le opportunità lavorative e di sviluppo esistenti per questa figura professionale. Fatta questa doverosa premessa, possiamo dire che l’orientatore accompagna le persone nei momenti di transizione aiutandole a orientarsi e a ri-orientarsi, preparandole ad affrontare le sfide che si presentano in ambito professionale in un contesto economico, lavorativo e sociale incerto e, quindi, complesso.

L’orientamento è un percorso specifico che guida gli assistiti a scoprire le proprie attitudini e le proprie aspirazioni professionali, aiutandoli a raggiungere i propri obiettivi tramite azioni mirate e percorsi formativi realizzati ad hoc. L’orientatore fornisce il suo utile supporto anche nella fase di scelta tra le diverse opportunità che, di volta in volta, possono presentarsi stimolando le risorse presenti in ciascuno di noi e ponendo l’accento sulla consapevolezza o presa di consapevolezza riguardo a quelle soft skill che caratterizzano il nostro modo particolare e unico di “essere” nel mondo.

Qual è, quindi, il ruolo dell’orientatore nelle risorse umane?

Per rispondere puntualmente alla domanda, occorre partire dallo studio Workplace Report di Gallup, effettuato tra il 2022 e il 2023, dal quale si evince che solo il 5% delle persone coinvolte è soddisfatta del proprio lavoro. Evidentemente, c’è bisogno di un rinnovamento che si fondi su prassi più verticali e individuali, affinché le risorse umane interne alle aziende non le abbandonino. Infatti, il fenomeno del turnover negli ultimi tempi è esploso in modo esponenziale. È necessario che le persone che fanno parte di un team di lavoro siano rese partecipi dell’evoluzione e dei cambiamenti indubbiamente sfidanti che le aziende dovranno affrontare, soprattutto con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (AI). In un futuro prossimo che sarà “super digitale” è necessario puntare sulle persone e sul loro potenziale, perché dovranno farsi portatrici e promotrici di un valore aggiunto che sia veramente distintivo, e siano quindi consapevoli di chi sono e di dove si vogliono arrivare. Da questo punto di vista, è necessario anche evidenziare che i nuovi talenti non sono più disposti ad essere precari per tutta la vita e sottopagati. Inoltre, implementare un reale work life balance è essenziale per trattenerli in azienda.

Quanto sono consapevoli le persone, dei propri talenti e risorse professionali?

 Nella nostra attività professionale, troviamo lavoratori che hanno molta consapevolezza delle proprie capacità e, invece, altri che non ne hanno una scarsa e che, di conseguenza, sono poco performanti in relazione al raggiungimento dei propri obiettivi. Dalla nostra esperienza emerge che quando c’è poca consapevolezza si perde la capacità di individuare la vera natura del proprio sé. Questo dipende dai rari momenti di riflessione messi a disposizione sia in contesti scolastici sia quelli extrascolastici, e quindi di timore nell’affrontare temi complessi o anche solo nel trovare dentro di sé le risposte per le scelte che la vita inevitabilmente ci pone di fare. Tali scelte possono risultare più difficilmente risolvibili anche per effetto del cambiamento imposto alle strutture educative e di quelle preposte a creare una prima relazione di aiuto dopo la pandemia da Covid-19, poiché il virus ha determinato la ridefinizione di parametri normativi e educativi consolidati da tempo. C’è infine un grosso lavoro da fare sui giovani: un lavoro che li porti alla piena coscienza di chi sono e di che cosa vogliono, non tanto per chiarire che cosa vogliano fare da grandi ma per aiutarli immaginare il loro futuro per affrontarlo al massimo delle loro capacità.

Quanto è importante l’orientamento nel cambiamento lavorativo e nella vita?

La Commissione Europea insiste da decenni sull’importanza della lifelong guidance e del lifelong learning nell’ottica di incoraggiare le persone ad apprendere costantemente, attraverso percorsi formativi mirati in grado di generare nuove esperienze di vita durante tutto l’arco dell’esistenza. Potremmo dire che l’orientamento dura tutta la vita perché è necessario porsi delle domande per trovare risposte e conferme, esplorando nuovi territori tenendo sempre presente che tutti viviamo in un contesto altamente imprevedibile nel quale siamo convinti che l’unica certezza è che tutto sia incerto. La pandemia ce l’ha insegnato: occorre essere vigili e definire cosa vogliamo realizzare nella nostra vita cercando di essere al passo con i tempi, senza correre il rischio di essere come foglie al vento, destinate prima o poi a perdersi.

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Photo: Pixabay

Quando si può iniziare a fare orientamento?

L’orientamento riveste un ruolo di primo piano a partire dalla scuola dell’infanzia, e accompagna gli studenti nel loro processo di crescita individuale mettendo disposizione tutti gli strumenti per orientarsi rispetto alle loro inclinazioni. Si tratta di un percorso che educa alla scelta consapevole in un mondo nel quale sono richieste molteplici competenze e nel quale tutti possono fare di tutto. Occorre dunque saper scegliere bene per non trovarsi a fare i conti con potenziali patologie psicologiche, avendo ben chiaro che sono proprio le persone alle prese con i percorsi scolastici di ogni ordine e grado quelli più esposti ai rischi di una società in cui le relazioni umane sono spesso condizionate dalla fruizione di contenuti che non hanno una finalità specificatamente educativa.

 

Veronica Rossetti

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