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Smart working: non fuggiamo dal lavoro, ma dalla routine

di Federica Biffi
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Il lavoro agile è diventato una conquista della società italiana, liberando tempo ed energie per i lavoratori. Ecco le sfide e le opportunità legate alla sua implementazione.

All’inizio del 2020 pare che solo 570 mila italiani lavorassero da remoto; con l’avvento del Covid-19 e le restrizioni imposte, ai primi di marzo, sono diventati 8 milioni. Che cosa è successo e che cosa avverrà in futuro? È quello su cui riflette Domenico De Masi, sociologo italiano, studioso e teorico del lavoro agile – e scomparso di recente – nel suo libro Smart working. La rivoluzione del lavoro intelligente (2020) ragionando sui motivi che finora hanno impedito il diffondersi di una modalità di lavoro “più produttiva, ecologica, meno costosa e stressante”; si chiede, inoltre, come cambieranno le nostre abitudini quotidiane, scandite fino a poco tempo fa dall’alternanza tra ufficio e tempo libero. Come emerge dal libro di De Masi, nel mondo del lavoro sta accadendo una profonda rivoluzione. Da tempo gli esperti si chiedono se lo smart working sia il modello che caratterizzerà sempre più il nostro futuro lavorativo. In effetti, la ricerca di flessibilità, il fenomeno delle grandi dimissioni e la ricerca di nuovi equilibri sono la reazione di lavoratori e lavoratrici più consapevoli della funzionalità di paradigmi originali e moderni. Per questo, le aziende devono adattarsi e proporre nuove regole di ingaggio, con una visione più agile, inclusiva e sostenibile. 

Lo Smart working è la conquista della nostra società

La pandemia ha accelerato un processo che era già iniziato anni fa: lo smart working si può considerare una conquista della nostra società. Ha liberato ore di sonno, ha reso più facile la vita a chi ogni giorno doveva fare lunghi spostamenti, ha permesso di risparmiare tempo ed energia, ha risolto il dramma che costringeva molte persone a sacrificare le proprie passioni personali, ha attenuato le crisi esistenziali sul “scegliere la carriera o la famiglia” (o almeno, si va in questa direzione…). Tutto questo, appunto, non a scapito della produttività.  Come abbiamo sperimentato, delocalizzare le attività al di fuori dell’ufficio durante i mesi di isolamento ha permesso a persone e aziende di portare avanti il lavoro evitando il blocco delle attività (e quindi della produttività). Tra chiusure e riaperture, zone rosse e verdi, concluso il periodo di emergenza, le organizzazioni hanno cercato di far rientrare le persone in ufficio; o comunque di virare sulla modalità ibrida, prevedendo due o tre giorni di lavoro ‘da casa’ (e i restanti in presenza). D’altra parte, come sostengono alcuni esperti, lavorando sempre a distanza, il rischio è che si perdano le relazioni e si affievoliscano le potenzialità del lavoro in team. Ecco perché occorre trovare la chiave giusta.

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Photo: Sarah Chai, da Pexels

Secondo De Masi – che nel suo libro ha riunito quarant’anni di esperienze e ricerche nel settore coordinando un’indagine a tutto campo – ci troviamo all’inizio di un processo che vedrà rivoluzionati tempi e luoghi, ma, ancor più, il significato, il contenuto e il ruolo del lavoro. Complice la trasformazione digitale, lavoratori e lavoratrici si trovano alle prese con una rivoluzione che ha a che fare con il ‘senso’ del lavoro, cercando il miglioramento del work life balance, sebbene talvolta ci si destreggi in situazioni complicate da gestire (come lavorare mentre si hanno i figli a casa). Eppure, quello che importa di più è la ricerca del ‘significato’; per questo, sembra che la strada da percorrere sia quella del lavoro ‘da ogni dove’, che permette di sperimentarsi e cogliere occasioni finora inespresse.

Slegarsi da tempi e luoghi, alla ricerca della sostenibilità

Oggi il mondo del lavoro non è più definito da un luogo di lavoro e da un tempo prestabilito, ma dalla ricerca della sostenibilità e con il desiderio di raggiungere obiettivi e porsene sempre di nuovi (viviamo in un mondo che gira sempre più veloce, del resto…). In questo, il lavoro da remoto è un alleato, perché permette di gestire il proprio tempo in modo alternativo; tuttavia, c’è da ammettere che le giornate in ufficio scorrono in modo differente: quando si è a casa, per la verità, ci sono altre attività da gestire che rischiano di interferire con il flusso del lavoro, come quelle domestiche; per chi è genitore, la cura di figli e figlie; o qualsiasi altro impegno che non sia direttamente relazionato al lavoro.  In questo scenario, ci sono realtà che stanno cercando la modalità più giusta di approcciare il nuovo modello, affinché tutti possano beneficiare dei vantaggi. Per esempio, è recente la notizia di Meta – impresa statunitense che controlla servizi di rete sociale come Facebook e Instagram o di messaggistica istantanea come WhatsApp e Messenger – che da settembre sta riorganizzando i turni di lavoro del personale, con l’intenzione di riportarli in ufficio almeno tre giorni la settimana. La decisione è calata all’interno di una strategia dell’azienda verso il lavoro ibrido che permette anche di risparmiare sui costi (la stessa cosa aveva fatto la società di telecomunicazioni Zoom sempre nel 2023). Da quanto emerge, Meta è impegnata nel “lavoro distribuito” e, secondo le dichiarazioni di un portavoce, ≪le persone possono avere un impatto significativo» sia in ufficio sia lavorando da casa.  Del resto, questo assetto va anche incontro al mindset delle nuove generazioni, particolarmente attente a questi aspetti. Secondo il Global Human Capital Trends Report 2023 di Deloitte, che ha intervistato oltre 10mila leader HR in 105 paesi, il 64% delle persone nel mondo sarebbe pronto a dimettersi nel caso in cui l’azienda chiedesse un rientro full time in ufficio, uno su tre lascerebbe il proprio lavoro anche in assenza di un’altra offerta e due persone su cinque hanno già rifiutato un lavoro perché non in linea con i loro valori. 

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Photo: Tima Miroshnichenko, da Pexels

Non stupisce che nei colloqui di assunzione di persone giovani, ricorre spesso la fatidica domanda sullo smart working, come se fosse uno dei fattori principali su cui valutare il potenziale datore di lavoro. Uno dei motivi risiede nel promuovere modelli di lavoro che contribuiscono a diminuire l’impatto ambientale, un aspetto oggi particolarmente rilevante, alla luce del cambiamento climatico e dei passi che sta facendo l’Unione Europea a riguardo (come le riforme del Green deal europeo o del Fit for 55); da un recente studio pubblicato su Proceeding of the National Academy Sciences, infatti, emerge che chi lavora da remoto un giorno alla settimana riduce le emissioni del 2%; chi rimane a casa dai due ai quattro giorni diminuisce le emissioni fino al 29%. Le organizzazioni, quindi, devono ridefinire il concetto di luogo di lavoro e progettare ambienti fisici, digitali o ibridi accattivanti, rispettando le preferenze delle persone e le esigenze lavorative e personali. Forse, in questo modo, entreranno in sintonia con le nuove generazioni, sempre più attratte dalla dinamicità e spesso disorientate nell’incontrare modelli ‘tradizionali’.

No alla noia, tra la casa e l’ufficio c’è il co-working 

Una soluzione che sta prendendo piede – a metà strada tra l’ufficio e l’abitazione – è quella del co-working (meglio se vicino a casa). Nel 2020 il Global Coworking Growth Study 2020 aveva stimato che entro il 2024 ci sarebbero state 5 milioni di persone impegnate a svolgere la loro professione all’interno degli spazi condivisi con una crescita del 158% rispetto al 2020. Secondo Statista, nel 2022 nel mondo esistevano oltre 18.700 spazi di coworking ed entro la fine del 2024 si prevede che gli spazi di coworking saranno 41.975. Si tratta di un tasso di crescita annuale di circa il 21,3%. Infatti, se a casa non si dispone di uno spazio idoneo per lavorare, un co-working facilmente raggiungibile è un’opzione che molte persone tengono sempre più in considerazione. Oltre a essere un’alternativa sostenibile (a livello di tempi e costi), questi spazi sono ideali per stimolare la creatività e l’innovazione. Sono soluzioni adatte per le piccole imprese, le start-up o i freelance, perché promuovono la comunità e ospitano spesso eventi di networking. Possono essere considerati luoghi multidisciplinari in cui figure professionali con competenze diverse hanno la possibilità di incontrarsi e condividere competenze ed esperienze, creando occasioni di collaborazione. E rendendo il tutto un po’ più smart (e meno noioso). Si è alla ricerca, quindi, di modalità originali che possano portare freschezza e nuove opportunità. Non lavorando meno, ma in modo diverso. Le grandi dimissioni non coincidono con una fuga dal lavoro e dalle responsabilità; forse, scappiamo da quello che non si allinea a valori ed esigenze più profonde.

 

Photo cover: Roman Odintsov, da Pexels

Federica Biffi

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